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lunedì 11 aprile 2022

QUANTI SEGRETI NASCONDE L'EX MONASTERO DI SANTA CATERINA?


 In questi ultimi giorni si sta risvegliando l’interesse attorno al complesso dell’ex-monastero di Santa Caterina, o Catterina, come le origini germaniche comandano, a seconda che si legga il nome della calle dal lato di Riva Vena o dal lato di Canale San Domenico.


Prima il sopralluogo fatto con l’amministrazione comunale, assessori e consiglieri, poi quello con l’associazione di volontari Amico Giardiniere.

In entrambe le occasioni il motivo è stato verificare la situazione, dell’immobile nel primo caso, delle aree verdi nel secondo. 


In entrambe le occasioni i gruppi sono stati accompagnati dal grande conoscitore della storia di Chioggia, il professore Luciano Bellemo, uno dei custodi della Torre di Sant’Andrea, e dall’ingegnere Nico Pregnolato, altra mente fervida abituata a cercare risposte alle domande che l’urbanistica può porre.


Entrambi i gruppi nel loro tour guidato hanno avuto modo di accedere al piccolo teatro dell’ex monastero, in cui la storia raccontata dal professor Bellemo si è dilungata sull’esistenza nel passato di una filanda in cui trovavano lavoro circa 400 ragazze, dismessa verso la prima metà degli anni del 1900.



Durante il secondo sopralluogo l’ingegnere Pregnolato è giunto con gli estratti di alcune mappe focalizzati sul complesso.

E qui la sorpresa.

Le mappe datate fino al 1875 riportano di un corridoio, stretto e lungo, poggiante sul muro di cinta antico, al lato sud del complesso, in parte incluso nell’area ora occupata dal teatro e in parte nella corte all’interno della quale di trova una vera da pozzo non molto antica.

Ormai le filande, dove si lavorava la seta ricavata dai bachi, sono praticamente scomparse ma si suppone che proprio quel lungo corridoio fosse utilizzato esclusivamente per quell’attività. Nel momento in cui la filanda ha cessato di essere attiva, il locale ha smesso di essere utile e quindi lo stesso al giorno d’oggi è scomparso. Al suo posto dei robusti contrafforti sul muro di cinta, forse per assicurarne la stabilità dopo la probabile eliminazione dello stanzone. 

Nessun documento ufficiale, a parte le mappe, è in grado di chiarire cosa ci fu e cosa fu eliminato. Solo l’archivio delle Madri Canossiane, dove si dovrebbe trovare la documentazione inerente il complesso, potrebbe rispondere a molte domande che riguardano il fiorire di stanze, aule, piani, stanzoni e scale che non figurano nella documentazione ufficiale. 



Una dimostrazione anche questa  dell’autonomia in campo edilizio che chi aveva la titolarità del complesso ha sfruttato nel corso degli ultimi cent’anni, da quando lo stesso fu acquistato dal demanio. Da quel momento le opere edilizie hanno aumentato il calpestabile di più del doppio. Dalle carte a disposizione si è passati da 2500 metri quadri a 5500 metri quadri. Un incremento di circa 3000 metri quadri, in teoria non figuranti nelle carte ufficiali in possesso e che, in pratica non dovrebbero esistere. 

Basti pensare, come esempio, un bagnetto aggettante sulla stessa corte edificato perché un'insegnante laica non voleva usare lo stesso bagno delle Madri Canossiane. Un’aggiunta edilizia che se fosse stata realizzata in una qualsiasi abitazione privata del centro storico, ma anche nell’ultimo baluardo sperduto di una qualsiasi frazione, se ne sarebbe richiesta l’immediata demolizione.


Chi oggi ha frequentato e ha amato l’ambiente delle Madri Canossiane lo ricorda e lo conosce come è adesso, con le aggiunte edilizie costruite nel tempo ma non congrue e privo delle parti che nel tempo si sono rivelate inutili.

Se si dovesse riportare la struttura alla pianta originaria l'opinione pubblica probabilmente scatenerebbe un putiferio. Ma probabilmente sarà ciò che dovrà essere fatto nel caso in cui il complesso andasse aggiudicato a una prossima asta o venduto.



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