giovedì 10 gennaio 2019

TERMINAL PORTUALE AL LARGO DI ISOLAVERDE, CHIOGGIA VERSO IL NO: CONTRARIE LE CATEGORIE TURISTICHE, IL COMUNE PARLERÀ IL 27

Folla delle grandi occasioni oggi pomeriggio alla seduta congiunta di tre commissioni consiliari, atta a illustrare il progetto per un terminal intermodale d'altura al largo di Isolaverde, presentato dalla società mestrina VGate alla valutazione d'impatto ambientale del Ministero. L'ipotesi è ancora nella fase preliminare di scoping, ovvero audizione di tutti gli enti che sarebbero coinvolti dai lavori: Comune, Provveditorato alle Opere Pubbliche, Città Metropolitana, Regione, Capitaneria di Porto, ANAS e altri ancora. Davanti praticamente a tutto il consiglio e alla giunta, nonché a rappresentanti del comitato No Gpl, dei comitati di frazione per Ca' Lino e Sant'Anna, delle categorie economiche del turismo (Ascot, ASA, Gruppo Turismo), agli operatori portuali, all'ex sindaco e consigliere regionale Lucio Tiozzo, i quattro soci di VGate -Alessandro Santi, Andrea Scarpa, Cristiano Paro e Wilmer Aguilar- hanno descritto dettagliatamente i caratteri della grande opera, finalizzata a un respiro di visione almeno a distanza di cinquant'anni: «Vogliamo che la portualità a Chioggia e a Venezia continui ad essere effettiva nelle economie delle due città, senza abdicare alla monocultura del turismo», ha esordito l'amministratore delegato Santi.

«Il mercato dei container è diventato vulnerabile dopo le limitazioni nautiche dovute al Mose, e questa soluzione risolve il problema. La domanda di logistica è forte, gli interporti più attivi d'Europa sono a Verona e a Padova. Sarà un terminal non offshore come indicava il progetto di Paolo Costa, perché in questo caso la piattaforma sarebbe unita alla terraferma da due viadotti indipendenti». Santi ha spiegato che il "gigantismo" delle navi è dovuto alla fusione di grandi compagnie come in altri ambiti: «Ma vivendo nella laguna la rispettiamo, senza diventare succubi rispetto ai porti della costa croata, che sono più avanti di noi nei traffici con la Cina». Prossimamente solo 6 nuove navi potranno entrare a Venezia, mentre 150 scafi "new building" di misura sopra alle 8mila Teu non entreranno per problemi di pescaggio, e le navi vecchie verranno tolte dal mercato. Senza un terminal al largo, secondo Santi allo scalo veneziano avranno accesso solo le piccole navi di feederaggio, che partiranno dal Pireo con i container per entrare in laguna a costi più alti: «E a Chioggia nemmeno questo, perdendo così una secolare vocazione portuale. Inoltre percorrendo distanze stradali più lunghi per traslare a destinazione le merci, verrà consumato più CO2 e quindi più inquinamento. Chioggia dal progetto ricaverebbe la Romea commerciale e una nuova ferrovia, VGate -impresa al 100% veneziana- darebbe la giustificazione economica per realizzarle». Se il progetto andasse "in porto", dopo un investimento di un miliardo e mezzo, il primo container dall'Estremo Oriente arriverebbe fra 13 anni.
Nel prendere in considerazione sei località per ospitare il terminal, da Eraclea a Mira (San Leonardo) a Rosolina, la scelta cadrebbe su Isolaverde perché con un ponte lungo 2.3 km si raggiungerebbe una zona marina di profondità 16 metri, ovvero sufficiente per il transito e l'approdo di navi di notevole stazza, senza impattare sulle Tegnùe che sono a 3 miglia dal litorale. Il viadotto sarebbe montato su pilastri distanti 90 metri l'uno dall'altro, con campata centrale alta 20 metri («un peschereccio e una barca a vela ci passano», ha detto il progettista arch. Cristiano Paro). La piattaforma ospiterebbe la dogana, un distaccamento dei Vigili del Fuoco, della Capitaneria di Porto e altri servizi. Per gli espropri verrebbero seguiti i vincoli del piano regolatore esistente, la gru sarebbe alta 46 metri per poggiare su un piano elevato 8 metri sopra il mare. Potrebbe esserci anche un collegamento con il costruendo ponte sul Brenta, mentre in compensazione andrebbero opere strettamente legate al progetto, per non correre il rischio di vedersele bocciate dalla commissione nazionale di VIA. «Dietro non abbiamo nessuno», afferma Santi per mitigare eventuali dubbi riguardo la natura societaria: «Siamo qui col cuore in mano, ci serve avervi ascoltato per capire dov'è possibile lavorare, dove proseguire e migliorare. Crediamo nelle opportunità di Venezia in questo campo, non abbiamo intenzione di lasciare questa terra per operare», pur essendo singolarmente attivi da New York a Singapore.

Ma la risposta arrivata dai consiglieri comunali bipartisan, dalle associazioni di categoria e anche (fra le righe) del sindaco Ferro, pur forse attesa, non deve aver incoraggiato l'entourage di VGate: se Gianluca Naccari mostra perplessità quanto al movimento di sabbie, maree e correnti come modificato dal progetto, con effetti sul fondale e sulle spiagge, ci pensano gli stakeholder a dare colpi abbastanza decisi (e condivisi dalla platea). Luciano Serafini del Gruppo Turismo, senza mezzi termini, trova VGate incompatibile con le prospettive di crescita che la città ha affidato al turismo: «La spiaggia finisce all'Adige, il ponte cadrebbe alla metà del litorale. Valutate se intervenire altrove da qui». Gli fa eco Giorgio Bellemo di Ascot: «Avete chiesto la concessione demaniale il 23 novembre, e se poi non vi viene attribuita? Questo progetto collide con una realtà che deve ancora diventare turistica». Non troppo convinto anche Alfredo Calascibetta, del comitato per il rilancio del porto: «Senza la logistica stradale, l'impresa si ferma. Se il Comune di Chioggia avesse detto no all'epoca al deposito di gpl, si sarebbe bloccato tutto». Indi Cristian Varisco, pescatore di Nuovi Orizzonti: «VGate interferirebbe con la pesca da posta e con la pesca costiera, al momento attive in quella zona. Quel tratto di mare non può essere interdetto». Tutti recitano il distico vocazioneturistica come un mantra: ma dietro l'angolo c'è la sindrome Nimby ("non nel mio cortile"), se i promotori di VGate decidessero comunque di scegliere un'altra spiaggia fra quelle al momento scartate, anziché quella di Isolaverde.

E adesso? Entro il 27 gennaio il Comune di Chioggia deve produrre una memoria tecnica e politica per motivare il proprio parere in sede di scoping, che servirà al Ministero per delimitare la Valutazione d'Impatto Ambientale. Ma a leggere tra le righe il breve intervento del sindaco Ferro, non è difficile desumere che la maggioranza propenda per il no all'opera: «Una prima idea l'amministrazione ce l'ha, e prima di consolidarla intendere ascoltare la città», come appunto avvenuto oggi. «Il progetto non dev'essere rigettato su due piedi», dice Ferro: l'asseverata politica del Movimento 5 Stelle in tutta Italia lascia presagire lo stop, «una volta valutati i pro e i contro, perché - conclude Ferro - in ballo c'è l'eventuale cambiamento di vocazione della città, nel bene o nel male». Pressante in tal senso la richiesta che arriva dal comitato No Gpl: «Non venga accolto alcun progetto, prima che venga definita la vertenza del deposito in Val da Rio», a sentenza il 25 di questo mese avanti il Consiglio di Stato a Roma.

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