«Garibaldi in persona, da marinaio espertissimo ed abilissimo com’era, curò con una barchetta di dar fondo ai ferri fuori dal porto, e di assicurarne bene le branchie, per poter poi tonneggiare i bragozzi. (…) Quando tutta la gente, con pochi viveri, fu imbarcata in tredici bragozzi, e questi a uno a uno furono messi in mare, e la flotta improvvisata poté salpare, guidata dai pescatori chioggiotti verso Venezia, eran circa le otto del mattino, 2 agosto. (…) I nostri scorsero, verso il delta del Po, in direzione di Goro, un brigantino austriaco, che con cannonate e razzi ne diede avviso alla squadra austriaca. Allo spuntare del giorno 3 la nostra flotta minuscola era nell’insenatura tra la punta di Goro e Magnavacca, tutta accerchiata da legni nemici cannoneggianti: nove bragozzi furon catturati, e solo quattro, pur cannoneggiati e inseguiti da lance e palischermi nemici, riuscirono a gettarsi sulla spiaggia, nei pressi di Magnavacca. (…) Quanto ai pescatori chioggiotti, oltreché per darsi alla pericolosa impresa, non ricevettero dai garibaldini -a quel che pare- la più piccola somma: i nove bragozzi catturati furon trattenuti nel porto di Magnavacca sino alla capitolazione di Venezia, e i quattro che portarono a riva Garibaldi e una piccola parte del suo seguito, furono (alta lezione austriaca) distrutti col fuoco. Per la qual distruzione i miseri equipaggi, perduto ogni avere e laceri e affamati, vagaron due giorni e due notti per le circostanti campagne, mendicando. Allorché l’Italia fu fatta, l’Eroe -considerando che quei legni erano stati perduti in servizio della causa nazionale- si adoperò Egli stesso perché i poveri danneggiati avessero dal governo italiano qualche ricompensa».
(Lorenzo Padoan, “Memorabili di Chioggia”, editore Zanibelli – Adria 1923)
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